Mangiava peperoni alla piastra e beveva Lambrusco

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– Ho saputo una notizia un’ora fa.
– La notizia de che?
– E’ morto il Lupo

Capita abbastanza spesso qui a Milano, probabilmente anche in altre parti d’Italia, di non sentire quasi mai il proprio nome in bocca ad altri.
Personalmente durante la giornata vengo investito da “Berto”, davvero troppo spesso, “Ubi” ormai raramente, “Uomo” quasi mai ma è uno dei più apprezzati, “Ciccio” con affetto tipicamente lombardo e via dicendo.
Sergio mi chiamava Umberto e lo scandiva bene, con precisione profonda, a sottolineare di ricordarsi bene chi fossi, guardando negli occhi, una stretta di mano decisa, forte.
Sergio “Alan D.” Altieri.
Per me, per noi, lui era semplicemente il Lupo.
Ricordo perfettamente la prima sera, il 1993, bar Basso, Milano.
Noi in metà di mille non stiamo più nella pelle, leggiamo da qualche tempo i suoi libri, quelle parole di violenza, così precise, così dettagliate, così feroci, hanno aperto una breccia. Veniamo quasi tutti dalla fantascienza, il technothriller si sta affacciando sul mercato, poi BAM! Quelle pagine ci colpiscono alla schiena, la punteggiatura, il modo, la ridondanza degli aggettivi.
Non esiste il web nel 1993.
Uno di noi telefona a tutti gli Altieri di Milano e lo trova, parla col padre, poi con lui e lui accetta di incontrarci.
Tutti.
Quella prima sera al bar Basso lui beve Jack Daniel’s e ride, s’imbarazza, ascolta un manipolo di pazzi che cita dialoghi dai suoi libri a memoria, in coro.
Inizia tutto lì.
Ci vediamo spesso, in una famosa trattoria sui navigli, lui arriva quasi sempre con una mezzora di ritardo scusandosi all’infinito, quasi sempre porta pagine in anteprima, racconta di progetti, si siede comodo e sorride, la risata di un lupo, di traverso, guardinga.
Mangia un primo, poi peperoni grigliati e beve Lambrusco, facciamo notte a colpi di amaro e grappa.
Lui è il Lupo, saremmo in grado di seguirlo all’inferno se ce lo chiedesse.
Gli anni passano, ci si vede meno ma rimaniamo abbastanza in contatto, io scrivo e gli faccio leggere, mi dà consigli, mi suggerisce, “fanculo chi ti chiede soldi per pubblicare Umberto, fanculo, scrivere è fatica e sudore, sono LORO che devono pagarti”.
Poi ricordo quella telefonata, quelle parole che mi hanno cambiato una buona parte di vita.
“Allora Mondadori ti compra Border, Ultima Corsa e Gates of Hell, mi devi scrivere una bio, qualche riga che ti descriva, mandamela sulla posta del lavoro, domani.”
Ecco, la disponibilità disarmante. Aiutare imbrattapixel come noi senza chiedere nulla, gentile, puntuale.
Introduzioni, postfazioni, consigli, traduzioni.
Sempre presente, disinteressato.

In non riesco ancora a pensarlo morto, non riesco a spiegare la sensazione.
Gli ho parlato mercoledì, venerdì non c’è più.
Sergio era qualcosa di molto simile a un’ispirazione continua, scrittore, sceneggiatore, traduttore, curatore di collane. Tramite lui ho potuto conoscere Carlo Lucarelli, ho potuto ascoltare Nanda Pivano leggere pagine di Kondor. L’ho visto vincere il premio Scerbanenco e l’ho ascoltato metterci una paura del diavolo parlando di millenium bug.
Era un narratore tosto, non facile da leggere, un nichilismo feroce trasudava dalle sue righe.
Quello stesso pessimismo verso il genere umano che spesso rimane appiccicato nelle mie.
Poche stronzate io scrivo come lui.
L’ho detto a tutti in questi giorni, forse l’ho detto troppo, scritto, messaggiato.
Però è dannatamente vero.
Ho perso il mio Maestro.

Ciao Lupo, buon viaggio.