Buon anno

Ragazzo mio, mi rivolgo a te e non a tuo fratello semplicemente per motivi di anagrafe.
Sospetto che lui si stuferebbe in un paio di secondi, i pistolotti sono roba da vecchi decrepiti, da moribondi, i bambini piccoli sono allergici alla noia al limite dello choc anafilattico.
Tu, oltre ad avere quei tre anni in più che fanno la differenza possiedi una sorta di innata introspezione fredda che unita alla pazzia di tua madre ti ha cucito addosso una personalità tagliente, attenta ai minimi dettagli.
Ragazzo mio papà vuole darti qualche consiglio gratuito, di quelli non richiesti che gli adolescenti sfottono allegramente, mentre quelli di quarta elementare accolgono (ancora per poco) a bocca aperta, come se stessero ascoltando Albus Silente in persona.
Questo è un paese che muore.
Ci siamo giocati tutto, credibilità, fiducia, simpatia, ottimismo innato, la famosa stronza arte di arrangiarsi.
Tutto.
Rimangono le macerie, rimane una muta di cani selvatici bramosi di sangue e ossa da spolpare.
Manca poco ragazzo mio, il segnale del tutti contro tutti sarà preceduto dal quiz serale sulle reti di stato e da un breve spot del nostro operatore telefonico di fiducia.
Poi saranno i fuochi, la carne esposta, le lame, la religione del massacro.
Scappa ragazzo mio, porta con te tuo fratello, fate qualcosa, inventate qualcosa.
Poi scappa.
In un posto dove hanno bisogno di mani, dove sanno a malapena cosa sia un cazzo di telefono cellulare, dove il fottuto web è il prodotto di un merdoso ragno peloso appeso a una palma.
Impara, studia, assorbi più che puoi, poi scappa.
Senza voltarti, senza avvisare amici, parenti, senza avvisare me o tua madre.
Fuggite lontano e vivete.
Dove nessuno vi potrà cercare e trovare, dove nessuno potrà ricordarvi da dove siete venuti, da CHI siete venuti.
Con immenso amore.
Papà.

-Colonnello la mano destra, ha qualcosa nella destra.
L’uomo in nero si avvicina lentamente facendo oscillare la canna del fucile d’assalto, appoggia il ginocchio sinistro fasciato di kevlar multistrato sull’asfalto, poi lentamente appoggia l’arma e si leva l’elmetto con gli occhialoni antivampa.
Un pezzo di carta, lo stringe nel pugno.
Le dita contratte del morto oppongono una breve resistenza, il militare si rialza aprendo il foglio spiegazzato, umido di sangue arterioso.
E’ una lettera.
L’altro uomo si avvicina facendo scricchiolare i sassolini sotto agli scarponi da commando.
Una lettera? Per chi?
Il colonnello alza lo sguardo verso l’orizzonte rossastro, lungo la fila ininterrotta di lamiere surriscaldate dall’attesa al centro dell’autostrada, un leggero sospiro.
Per suo figlio, per i suoi figli.
Ripiega accuratamente le poche e righe e le fa sparire all’interno del giubbotto antiproiettile, dotazione GIS carabinieri.
Il sottufficiale pare non darsi pace.
Ma cristo santo colonnello, ha mai visto una cosa del genere? Assaltare un furgone blindato da solo, prendere in ostaggio le guardie senza scappare coi soldi, in attesa del nostro arrivo?
Il tenente colonnello Sergio Di Falco si passa la mano sulla barba ispida, le fibre dei guanti rinforzati producono un rumore saltellante.
No Fulgoni, mai. Ma dammi retta, ne vedremo altri.