
Milano.
Un poliziotto, due carabinieri speciali, un tenente dell’esercito d’Israele.
Passi incerti a chiudere lo spazio nell’incubo, perlustrare, verificare singoli brandelli che indichino una pista da battere.
GIS tre, rilevatore infrared di calore FINDER X19, auricolare wireless, otto led su dieci in pulsazione sistematica.
– Nord, venti, ventidue metri; debole, fermo.
Annuisco, taglio del palmo aperto, si prosegue.
Le pareti sembrano chiudersi su sé stesse, soffitti quasi invisibili, fioca luminescenza giù in fondo.
Contatto.
Luce blu, filtra attraverso qualcosa di indefinito.
Harazi appena un attimo prima della rilevazione elettronica.
– Contatto, la vedi anche tu Andrea?
GIS tre conferma.
– Ho una lettura precisa, nove metri, nord, massa debole di calore.
Non è una porta, è un sistema di pannelli di plastica traslucida, rigata.
Capire è morire.
Cella a regime temperato, porte utili per permettere l’ingresso di barelle.
Accucciati ai lati dell’apertura, pronti allo sbalzo, forse l’ultimo sbalzo.
Dentro.
Chiudo e riapro, una frazione di secondo per mettere a fuoco attraverso il visore della maschera, mettere a fuoco l’ambiente completamente alieno dal resto.
Tavoli di metallo, pareti blu, piccoli led del medesimo colore elettrico a segnalare un percorso sul pavimento brinato.
Un percorso per barelle.
Sopra a ogni tavolo una luce da camera operatoria, carrelli medicali ingombri di strumenti, uno stanzone vasto, sorprendentemente asettico nell’insieme.
Tranne che per i corpi.
O quello che resta dei corpi.
Le statistiche parlano chiaro, all’incontro improvviso con un corpo variamente mutilato, la persona comune nota per prima cosa i bulbi oculari rimossi violentemente.
Il militare nota i visceri esposti.
La psicologia ci si è applicata e, udite udite, ha stabilito senza alcuna ombra di dubbio che il motivo è la paura.
La maggior parte delle ferite da impatto esplosivo in ambito di combattimento causano la fuoriuscita più o meno copiosa delle budella, ergo, i militari temono quello.
Davvero.
Che rivelazione del cazzo.
Però funziona.
Interiora colano dai tavoli, insozzano le lastre satinate, strisciano come rettili accarezzando le piastrelle sbeccate, regalando riflessi di luce offuscata sui led.
Istintivamente porto la destra allo stomaco, istintivamente sento il bisogno impellente di urinare, il freddo qui è tremendo.
Una mattanza esplosa.
Tu lo sai cos’è.
Lo sai.
È il risultato, lo splendido risultato dell’ingegneria genetica, la fantastica programmazione molecolare dell’infinitamente piccolo.
La mutazione Marburg in un tripudio di onnipotenza deflagrata.
Quello che resta dei corpi è scoppiato all’esterno sotto l’urto della virus mutato, quello che resta dei corpi è tracimato mentre gli essere umani ancora vivi provavano a contenere la propria carne dotata di una cinetica indipendente.
Un’entropia terminale senza speranza.
Corpi, a perdita d’occhio.
– Capitano, diocristosantissimo.
Fulgoni, pallido come uno dei pezzi di carne adagiata.
Lo guardo negli occhi, la mano destra ancora a premere sul ventre
La paura, la paura uomo, che le cose dentro possano uscire.
– Giovanni, il calore, la traccia di calore.
Il suo collega si china sullo strumento, alza un indice guantato, di nuovo Harazi è già lì, sulla traiettoria del gesto del commando.
Una donna è collegata a un apparecchio che emette un lieve ronzio, nelle braccia quattro diverse flebo vanno a riunirsi per creare un cocktail sconosciuto, il tracciato sul monitor testimonia un’attività cardiaca.
Il tracciato su un secondo monitor segnala attività elettrica del cervello.
– E’ viva Andrea, madrediddio, è viva, come fa.
Non lo sento, non lo sento più.
Il corpo è legato con cinghie di contenzione polsi/caviglie, il corpo è un’orgia tecnologica di sensori, tubi che penetrano e fuoriescono, cicatrici ricucite con approssimazione, il corpo vibra leggermente.
– Non è solo viva.
Fulgoni è un fiato mozzato.
– Questo tracciato indica che è cosc…
Quello che resta degli occhi si spalanca di colpo, istintivamente facciamo tutti un balzo all’indietro,
orbite vuote, cristallini assenti, iridi assenti, bulbi oculari sostituiti da una poltiglia rossastra che inizia a colare all’esterno.
Un decimo di secondo dopo la donna spalanca la bocca e inizia a urlare.
Sbagliato, tutto sbagliato.
La donna tenta di urlare, ma quello che esce è un gorgoglio umido di fluidi.
La donna non possiede più lingua, con ogni probabilità la donna non possiede più nemmeno corde vocali.
Harazi pone temine.
Estrae dalla fondina alla coscia una IMI GW cal. 45 caseless, trentacinque dardi in lega Tungsteno/Boro, cinetica generata da una camera di spinta pompata ad Azoto 400bar.
Prima che possa anche solo improvvisare un’obbiezione punta al centro della fronte e inchioda la donna al tavolo operatorio, un leggero sussulto, poi più nulla
ti scrivo…
Bello che ti sia tornata la voglia di pubblicare, se mai se ne fosse andata.
Magari fosse possibile metter su i testi come dio comanda senza lottare con la formattazione sarebbe meglio.
Da precisina puntigliosa che sono per queste cose non dovrei neanche pensarlo, ma sono d’accordo con la Cristina qui sotto. Fermo restando che di una formattazione più “agevole” se ne può parlare.
Ecchissene frega della formattazione del testo,butta su quello che scrivi che ne vale davvero la pena e fine.
È fantastico.
Inchino, se vuoi ti farò avere l’intero.
Sì,grazie.
Asap
Adesso non ci puoi lasciare così.
Posta il resto, cortesemente (ne faccio già troppi di interruptus).