Freespeach

La sbarra inchiodata, i passi sottili sui ciottoli allineati, l’erba bagnata di lacrime.
Ci sono albe devastate, scagliate a forza attraverso il buio di una nebbiolina dotata di piena consapevolezza.
C’è asfalto, ci sono baraccopoli e tizi strappati che sbucano fuori da Resident Evil, ma senza la cretina armata di tutto punto.
Ci sono foglie in sospensione e la primavera che si trascina fottendo da dietro l’inverno senza una cazzo di fine apparente.
E poi ricordi che scoppiano l’attesa di una visita che stenti a regalarti, ‘fanculo pure i cimiteri nel calderone delle ossa dimenticate.
Immagini macchiate e domande che nessuno oserà mai fare, mancanze solide, spruzzate acido e dolore frantumato.
C’è una stanchezza infinita di questo paese che muore, donne violate, bambini venduti, questo paese che è lo stronzo specchio di un’umanità marcia fino al midollo, scintillata attraverso lamiere lucide e spot telefonici.
Rabbia che esplode e pretende, una sete senza fine, una scia di carne mutilata, cotta a puntino nel superforno della cucina pagata a rate, confiscata, sbudellata dalle banche che stringono il pugno.
Il sangue che cola tra le falangi putrefatte.
Il credito al consumo del cazzo, il buio nel cuore, le calibro nove nell’armadio del nonno, le smorfie sottovoce che rinascono dalle fabbriche agli uffici.
Quelli che non vedono e viaggiano tronfi, quelli che non respirano l’onda di piena, lo tsunami di cadaveri della mente, i mostri che vagano, che sbraitano ai semafori, che insultano in coda.
Detonatori perfetti, perfetti.
Noi siamo quello che respiriamo.
E qui si ansima vendetta, gente che trascina ciabatte al discount e rovista al mercato i cassonetti marciti.
Leggete la marea, respirate la furia.
Appoggiare la mano aperta sulla superficie venata, fiori finti e foto sbiadite, lezione numero zero, qualcuno abbia il coraggio di spiegare cosa cazzo significa parlare a un muro pieno di niente.
È solo che raccontarti questo nulla che precipita ogni secondo pare una soluzione, in realtà è solo un mezzo per scaldare la forgia e costruire l’armatura, giorno dopo giorno.
Sveglia dopo sveglia.
Ma qui, proprio qui in mezzo alle voci che urlano il silenzio, percepisci scaglie saldate a fuoco, piccoli pezzi che incastrano un tutto preciso.
Segnali lineari di un divenire di tenebra.
Le voci, da sempre, esigono un tributo.
Mi manchi papà.

11 thoughts on “Freespeach

  1. ladonnaignota ha detto:

    in qualche modo dovevo dirtelo – e spezzerò quello che sto per scrivere -, ma qui è necessario solo molto silenzio.

  2. Pinzalberto ha detto:

    La consapevolezza che il senso della vita si traduce nel ricordo negli occhi dei tuoi cari, nel doloroso vuoto che lasci e una silenziosa tomba. Ma ne vale la pena? Siamo portatori sani di dolore. Ma parlare di gnocca no??

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