04.25
Trentapercento.
Ecco cosa dice la mente alle stronzissime quattremmezza del mattino.
Ho calcolato che in una settimana la quota di tempo che riesco a dedicare al lavoro per cui sono stato assunto è un cazzutissimo trentapercento.
Per il settanta faccio altro.
05.15
Camion carico, appena dietro alla nuca circa una tonnellata di acciaio in bombole pompato a duecento bar di gas compressi vari.
Deep Valtellina final destination, sei ore di strada andata e ritorno in giornata.
Muro d’acqua fitto, muro solido nell’anima.
Tangenziale est – tangenziale nord – superstrada MI-LC asfalto che si stringe davanti allo sguardo, volante che vibra, ruote in planata.
La musica che accompagna, che costringe a pensare.
06.15
Lecco è una caverna sparata su per il culo della montagna, un tunnel infinito, fino alla fine del mondo.
Ci sono parole che nessuno si merita, parole come ribrezzo, repulsione, grossi calibri che fanno male, sempre e comunque, cose che incidono la carne.
A Lecco decido di scriverne, imboccando la bocca del diavolo mi viene da pensare anche che ne ho parlato tanto forse troppo, del resto un blog serve a questo.
Se non altro meglio fottersi di parole che di superalcolici.
Il tunnel pare non finire mai, lavori in corso, cambio di carreggiata, volume a palla nelle orecchie.
Sbuco nella tempesta schiacciata, nuvole basse a lato della carreggiata, il lago a sinistra Everlong nelle orecchie, Betty dice che serve ad andare forte in macchina.
Schiaccio il pedale a fondo il motore ruggisce, basterebbe poco, chiudere gli occhi, lasciare andare piano il volante.
Un bel tuffo e via.
07.15
Serpente d’acciaio lungo la statale, la schiena urla, occhi che bruciano che provano a bucare l’oscurità spessa, umida.
Fermarsi, fermarsi ORA.
Scendo, gocce ghiacciate percuotono il viso, alzo le mani, la faccia al cielo.
Le montagne nere, le nuvole basse, la strada.
Cosa vuoi ancora uomo, cosa stai cercando, cosa speri di trovare.
Non ho più speranze, le ho chiuse in una cassa del cazzo, ho applicato il semtex, ho ghignato duro nel vederla scoppiare in mille pezzi.
Guida allora, coglione.
08.00
-Allora?
-Apposto.
-Sei diverso.
-Sono stanco.
-No, qualcosa…
-Forza che ci sei.
-Puttana troia hai tagliato il pizzo!
-Cazzo fai domanda al RIS di Parma, magari ti prendono.
-Che pirla! Stai bene.
-Così dicono, ma non mi vedo, dura poco ‘sta cosa.
-Caricato?
-Apposto.
-Buon ritorno.
-Buona giornata a tutti raga.
Piove ancora, risalgo sul camion, controllo le cinghie, la montagna alle spalle, maestosa e già innevata.
Rimetto le cuffie, è ancora musica.
19.30
-Mi fai toccare papà?
-Ancora?! Su dai è da domenica che mi tocchi la faccia.
Piccole mani leggere attorno alle labbra, alle pieghe incrinate, al mento.
–Sei morbido.
-Ti dava fastidio la barba?
-Sì, quando mi fai il solletico.
-Anche tu sei morbido.
-Papà la sai una cosa.
Si sporge, osserva dietro di me, mi oltrepassa con lo sguardo, arriva al mobile. Non dirlo, non dirlo, ti prego non dirlo.
–Assomigli al nonno, quella foto lì, col fucile.
Riesco in qualche modo a rispondergli.
-Ti sarebbe piaciuto il nonno.
-Lo so papà, lo so.
Poi mi abbraccia e mi tocca il mento ancora una volta.
Questo pezzo è decisamente BELLO. Equilibrato nello squilibrio del racconto. Qui ci sei tu. Complimenti.
Ci sono io sì, preciso preciso, visto che è vero dalla prima all’ultima lettera.
E pure tu, puntualissima.
Grazie.
Grazie a te. Come sempre. Adesso ti mando una cosina…