Io ho addosso un bell’abito blu, le mani nelle tasche dei calzoni, e speriamo che prima o poi mi possa bastare.
Nick Damone
Milano è un teorema di spigoli vivi, parti molli ridotte all’osso.
Abbandonare l’asettica sicurezza di una trazione anteriore per un vacuo respiro di polvere tiepida. Sono luci grigie e mani in tasca, mai avuto un cappotto in vita mia, se l’avessi mi sentirei quella foto.
Jimmie Dean, Jimmie Dean.
Se l’avessi le microgocce della non-pioggia di Milano s’incastrerebbero nel cuore.
Ma scivolano via in un bianconero nitido.
Lungo la superficie increspata dell’anima di un lupo.
Troppe domande senza una vera risposta negli occhi, nelle facce sbavate di Milano.
Accarezzando la luce lontana di un inverno morente cerco il tuo sguardo nel riflesso neon di una vetrina vuota.
Mani che ancora stringono il niente e piantano unghie, fiamme che danzano attraverso un velo solido.
E noi siamo qui ad aspettare un pianista che ci faccia volare ma che è sempre costantemente in ritardo sulla stronza tabella, perso in Stazione Centrale, fottuto da qualche rumeno svelto con la bocca e la lama.
Piccola non guardarmi che non sorrido a te è una cazzo di smorfia di dolore, lei offesa rimbalza uno spruzzo di profumo leggero e torna a girarsi lungo lo squallido profilo di un parabrezza a mille pollici.
Nessuna resa mai.
Eppure qui ci stiamo accasciando a colpi di muri che stringono il cuore, tipo un filo spinato creato a regola d’arte per rubarti l’anima e il respiro.
Vattene allora coglione.
Ma io non ci resisto senza queste costole di fonderia che lastricano le strade di un inferno sbiadito. Faccio fatica anche solo ad immaginarmi senza Milano, senza quelle poche voci che mi piace ascoltare mentre si sbrodolano addosso dubbi senza speranza.
Solo che tu non capisci e blateri di Vigevano. Cristo mi ci vedi a bordo Ticino a fottermi di zanzare, sono un animale da cemento e scappamenti, semafori e periferie.
Poi c’è questa cosa che Aprile è già qui e si porta appresso una doppia cifra contorta, che sa di angolo cieco.
Il viale si allarga, lo sguardo si assottiglia ed è una tregua improvvisa di rumori mentre una sberla di sole ci prova decisa.
E inoltre vorrei sedere a un tavolo, Capossela leggero là in alto che biascica note, due o tre amici un po’ sbronzi, quel tanto che basta a sciogliere il fegato indurito da troppa Milano. Qualche lacrima, un paio di sorrisi, parlare d’amore e pallone.
Mi accontento di poco, guardare in faccia alla gente e capirli solo un po’.
Poi buttarli dentro ai loro incubi peggiori.
E inoltre.
Forse è Aprile. Ti dà modo di guardare, e tu devi capire, sentire.
Forse Aprile, forse no. Forse davvero io la primavera non la reggo. Forse che quando sei bravo a creare incubi a volte ti restano appiccicati.
se già siamo preoccupati per la pseudo primavera, vedrai come ci piglierà bbene l’estate…
le due bb sono volute eh
D’estate (per lo meno in città), divento un porcospino incazzato come un puma.
Uno zoo umorale ambulante.
rcatroia se la descrivi bene sta città. e la sua, e la nostra, emotività.
rcatroia c’era in effetti una vocina che mi diceva ti avrebbe acchiappata.
A me di solito prende male a maggio. Per mia fortuna non abito a Milano.