E’ la prima volta che mi capita di scrivere in memoria di un amico.
Ho sempre schifato allegramente i cosiddetti coccodrilli, letti praticamente mai, criticati praticamente sempre. La memoria e l’annuncio della morte di qualcuno possono benissimo rimanere un fatto personale, da gestire nel proprio intimo, in silenzio.
Eppure la morte di Ezio mi ha fatto scoprire l’esigenza di farlo sapere e scriverne.
Sarà l’età, mi sono detto, sarà che il passare del tempo ti costringe a ragionamenti sulla fine che non avresti mai fatto a vent’anni.
Le ragioni possono essere tante, in realtà ho sempre considerato Ezio una persona speciale, pieno di difetti, forse un pò cialtrone, ma dotato di un’anima vera e pura, una di quelle che raramente si incontra.
C’è molto amaro in bocca quando un tumore ti porta via da sotto gli occhi in un mese un uomo che conosci da una vita, rimane un senso di vuoto improvviso, di mancanza che fai fatica a comprendere, a rimescolare con il quotidiano.
Era amico di mio padre, di quelli veri.
Era un cacciatore, come mio padre, e amava la natura che ritraeva nel suo lavoro con una precisione incredibile, più di ogni altra cosa.
E’ stato il primo che mi ha messo in mano un fucile, sorridendo, fiducioso che non avrei sbagliato o fatto cazzate.
Era uomo di cucina in compagnia, di vino e grappe e casa sempre piena di amici.
Un uomo vero e all’antica.
Sciur Ezio te me manchet giamò, el bicer de monovitigno l’è dumà per tì.